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Attacchi di panico alla poltrona del dentista: una possibile gestione

Tipologia descrittiva di pazienti ansiosi cronici

by Dott.ssa Maria Grazia Di Palermo 14-12-2010 4487 visualizzazioni
Quando si parla di pazienti odontoiatrici mediamente ci si imbatte in persone ansiose, in cui il vissuto precedente gioca un ruolo determinante. Nessuno vorrebbe farsi toccare la bocca e neanche aprirla; il motivo è che il cavo orale è molto sensibile, ma più ancora è come un luogo privato, in cui è possibile leggere tutta la storia profonda della persona. Inoltre, la stessa vicinanza del sanitario, come nessun'altra branca medica, indica un rapporto di vicinanza fisica del tutto particolare. Mi sono accorta che quasi tutti guardano quello che succede attravero la lampada del riunito, il che mi ha convinto all'acquisto della telecamera intraorale. Tuttavia esistono dei pazienti che hanno tendenza a somatizzare i vissuti psichici più di altri, rendendo tra l'altro ragione della profonda unità e complessità della persona, valore questo che mi sembra di estrema importanza nel desiderio di realizzare l'atto e la professione medica.

Questi pazienti che denunciano "attacchi di panico" sono spesso donne, qualcuna mi è capitata, in cui si mescolava il desiderio di gradimento personale - si presentavano eleganti e curate - ad un timore irrefrenabile che dava luogo a desiderio di fuggire alla situazione reale o, in altri momenti, una vera impossibilità a sostenere l'esperienza della prova che un ipotetico dolore rappresenta. Mi sono spesso chiesta quali vissuti pregressi potessero avere queste persone. Ricordo una in particolare che, davanti al riunito, mi scrutava intensamente, quasi a prevenire o ricercare dei possibili tentennamenti personali, quasi a chiedersi ancora se poteva fidarsi.. "Ecco, mi sta arrivando l'attacco..." A queste parole, io non ho chiamato l'assistente e neppure l'ho invitata a scendere. Mi sono limitata a stare ferma e a dire: "Io non avverto alcun panico", quasi a ripeterle che, se l'operatore non ha paura, non ha senso che il paziente l'abbia. Quello che è importante, infatti, è infondere sicurezza in un modo adeguato ad una persona che sempre si può recuperare alla normalità. Quel giorno andò bene. La crisi di soffocamento che quella paziente temeva, non si è verificata.

Credo che la medicina debba fare ancora molto per comprendere i legami profondi tra psiche e soma, tra sensibilità in senso di percezioni e volontà. Sta di certo che questa umanità va sostenuta e aiutata, con tutte le forze, nel recupero della forza interiore. Nessuna pratica medica infatti si può dire vincente se il soggetto non ne esce fuori guarito e proprio in senso somato-psichico.

Scritto da Dott.ssa Maria Grazia Di Palermo
Carini (PA)

TAG: attacchi panico