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Endodonzia

Quando la carie o un trauma arrivano ad esporre la polpa del dente (la parte interna composta da vasi e nervi), o comunque arrivano ad infiammarla causando una pulpite (il classico e doloroso mal di denti), questa, dopo aver fatto male più o meno a lungo, va in necrosi (in altre parole muore).

by Dott. Attilio Venerucci 11-01-2008 14724 visualizzazioni

 

I prodotti della sua decomposizione e i batteri che vi s’insediano, attraverso l’apice radicolare (un foro che mette in comunicazione l’interno del dente con la zona che circonda la radice), vanno ad infiammare la parte di osso intorno alla radice stessa (detta “periapice”). Per eliminare il dolore e conservare il dente si ricorre all’endodonzia (la cosiddetta “devitalizzazione”). Una corretta terapia endodontica può essere necessaria anche per far guarire lesioni periapicali (cisti e granulomi) dovuti ad una antecedente perdita della vitalità del dente (talvolta senza sintomi dolorosi) o a precedenti terapie non ideali.

 

 

1. La cura si articola in diverse fasi, tutte importanti e ciascuna propedeutica alla successiva:

 

a) L’apertura della cavità di accesso, cioè rimuovere la porzione di dente che copre la polpa e arrivare a visualizzare l’imbocco dei canali, che percorrono le radici dei denti per tutta la loro lunghezza. Si esegue con frese diamantate montate sulla turbina (il “trapano” ad aria compressa che gira velocissimo).

 

b) Il sondaggio del canale radicolare, cioè arrivare a percorrere tutta la sua lunghezza con strumenti manuali (chiamati “files” o, in italiano, lime), per aprire la strada ad appositi strumenti meccanici. Per capire se tutto il canale è stato percorso, ci si avvale di esami radiografici e del “localizzatore apicale elettronico” (uno strumento che ci avverte quando la nostra lima ha raggiunto il termine del canale e si affaccia sulla zona periapicale)

 

c) La sagomatura dei canali, cioè dar loro una forma che consenta di irrigarli con opportuni liquidi disinfettanti (di solito ipoclorito di sodio, praticamente “candeggina”) e poi di sigillarli. Un tempo, per sagomare i canali, si utilizzavano solo degli strumenti manuali di acciaio che, usati in corretta sequenza, consentivano di dare ai canali una forma conica. Tale forma consente di compattare il materiale di otturazione verso le pareti e l’apice del canale radicolare “come un tappo in una bottiglia di vino”. Oggi esistono nuovi strumenti in nikel-titanio, molto più resistenti e flessibili che, dopo aver sondato il canale con gli strumenti manuali per creare loro la strada, possono essere utilizzati in rotazione continua (cioè mantati su un apposito “trapano”); questi strumenti hanno già una forma idonea a sagomare il canale, con pochissimi passaggi e cambi di strumento. Ne consegue che, tranne in casi particolarmente complessi, buona parte del lavoro viene fatta con strumentazione meccanica, evitando al paziente le numerose sedute un tempo necessarie.

 

d) La detersione, cioè rimuovere i batteri e i residui di polpa non più vitale (sia nelle parti raggiunte dagli strumenti che in quelle zone dove lo strumento non arriva) attraverso l’azione di liquidi irriganti che solubilizzano le “parti morte”, lavano, disinfettano, rimuovono i residui lasciando i canali puliti, pronti per essere sigillati. Per essere efficaci i liquidi devono permanere nei canali per almeno mezz’ora.

 

e) La sigillatura, cioè chiudere gli spazi preparati all’interno delle radici dei denti, per non lasciare modo ai batteri di proliferare ed impedire loro di produrre le tossine che causano le lesioni periapicali, quali ascessi (cioè malattia acuta) e granulomi (ovvero malattia cronica). Il metodo più efficace consiste nell’utilizzo di appositi coni di guttaperca (una gomma naturale) che, dopo l’inserimento nei canali (correttamente sagomati e detersi come spiegato prima), vengono scaldati e compattati per adattarli alla forma specifica del canale. Ciò consente una otturazione precisa, stabile e duratura (il materiale cioè, contrariamente a quanto accadeva con molti vecchi cementi, non viene riassorbito, fornendo un sigillo duraturo del canale trattato).

 

 

2. Lo scopo di tutto questo lavoro è lasciare i canali radicolari più asettici possibile: è quindi importante che l’interno del dente non venga contaminato dalla saliva. Questo lo si ottiene utilizzando la diga di gomma : questo strumento, indispensabile in endodonzia (ma anche in gran parte delle altre cure odontoiatriche), ha inoltre il vantaggio di evitare il contatto dei liquidi irriganti con la bocca e, soprattutto, impedire l’ingestione accidentale di strumenti endodontici (che può causare lesioni gravissime, addirittura la morte).

 

3. Nei casi in cui, per vari motivi, non sia possibile trattare adeguatamente i canali di un dente passando attraverso la corona (la cosiddetta “via ortograda”) si ricorre talvolta all’endodonzia chirurgica (o via “retrograda”). Questa consente, incidendo la gengiva e praticando una piccola apertura attraverso l’osso, a livello della punta della radice, di andare ad otturare efficacemente l’apice radicolare impedendo cosi che i batteri presenti in qualche porzione non trattabile del canale, possano nuocere al periapice. Quando si riescie è sempre meglio far precedere la chirurgia dalla terapia “ortograda” possibile, poiché pur “tappando” l’apice del canale, i batteri potrebbero continuare a nuocere attraverso dei canali laterali, spesso presenti anche a metà radice.

Scritto da Dott. Attilio Venerucci
Finale Ligure (SV)

TAG: endodonzia devitalizzazione dente