Fino a qui, diciamo, sono scene di “ordinaria amministrazione”, c’è chi approfitta della pausa per un salto al frigorifero, oppure come diceva un famoso conduttore televisivo romano, per soddisfare un impellente bisogno fisiologico, fatto sta che la reclame, da Carosello in poi, è diventata una consuetudine.
Da alcuni anni però, più o meno da quando “la crisi” è entrata nelle vite di tutti noi, assistiamo ad un fenomeno particolare, ovvero la pubblicità per le professioni sanitarie.
Da una parte, la lecita possibilità di ampliare il proprio bacino d’utenza mediante inserzioni pubblicitarie, dall’altra il fisiologico calo del fatturato dovuto alle ridotte possibilità di acquisto che questo periodo ci consente, hanno sdoganato in qualche modo il megafono pubblicitario anche per la pratica medica che non dimentichiamolo, nei desideri della gente dovrebbe essere la stessa fornita da tutti i medici, ovvero la migliore, senza distinzioni geografiche, e indipendente dal fatto che la cura sia prestata in un grande centro cittadino piuttosto che in un piccolo ambulatorio di paese.
Va detto che la storia della regolamentazione della pubblicità per coloro i quali esercitano una professione sanitaria inizia molto lontano nel tempo. Una tanto breve quanto fruttuosa ricerca nel web (che può fare chiunque digitando semplicemente “pubblicità sanitaria” su qualsiasi motore di ricerca) mi ha concesso di scoprire che una prima regolamentazione alla pubblicizzazione in ambito sanitario risale addirittura al 1224, con un editto di Federico II, e nello Statuto Fiorentino dell’Arte de’Medici e degli Speziali nel 1349. Ma si trattava di mettere ordine in un settore allora abbastanza confuso, dove “l’Arte” era praticata sia dai medici che dai cerusici, i barbieri e i maghi, i cosiddetti “guaritori”. Probabilmente all’epoca, una regolamentazione era necessaria e doverosa. La gente, semplicemente, per una cura sbagliata o “inventata”, moriva. Incolpando il fato avverso, il malocchio o quant’altro.
Oggi, però, le cose fortunatamente sono cambiate e, con un ritmo sempre più vertiginoso, continuano a cambiare. Cento anni di ricerca in campo medico hanno consentito alla medicina di progredire più di quanto non si sia progrediti in duemila anni, ma la cosa veramente bella è che gli effetti di tale progresso sono veramente per tutti.
- Esistono commissioni interdisciplinari e multidisciplinari che validano i protocolli terapeutici dopo estenuanti controlli e quando ciò succede non ci sono “diritti d’autore”.
- Tutti i medici operanti in quella determinata disciplina possono curare i loro pazienti sfruttando le scoperte del team ricercatore.
- Tutti i medici di quella data specializzazione, dopo un adeguato tirocinio, possono farlo.
- Tutti i medici, nella possibilità offerta dalla merceologia, usano cure non dissimili. Tutto questo, nella normale variabilità individuale.
La normativa (semplificando molto il concetto per non annoiare il lettore) ha sposato questo concetto per molto tempo, diciamo dalla fine dell’ottocento. A parte una interruzione per la seconda guerra mondiale fino al 2006, il medico di qualsiasi specializzazione, poteva esporre una targa fuori dal proprio studio e ciò che poteva esserci scritto era regolamentato in maniera abbastanza perentoria. E basta!
Era illogico, e contro la deontologia professionale che un medico urlasse ai quattro venti che era più bravo di tutti gli altri. Se proprio vogliamo dirla tutta, eventuali doti particolarmente di spicco potevano essere trasmesse con la forma più efficace di sempre, il “passaparola” del paziente e ciò, non essendo instaurato dal medico, risultava anche corretto deontologicamente.
Copio e incollo un estratto che chiunque può leggere in forma integrale nel PDF all’indirizzo “La pubblicità sanitaria dopo il decreto Bersani”. Dopo anni di quiete quindi, la tempesta, rappresentata, nella fattispecie, dall’articolo 2, comma 1, lett. b), della legge 4 agosto 2006, n. 248 (decreto Bersani): “Sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’Ordine”..
Ecco allora che si è instaurato in pochi anni un clima che un esperto del settore ha recentemente definito “dai toni troppo accentuati”, in cui la pubblicità, come nel campo degli elettrodomestici o dell’abbigliamento, spesso rasenta il tragicomico.
Non sono contro la pubblicità. Tutt’altro.
E questa non vuole essere una condanna contro la pubblicità in ambito medico. Ognuno di voi continui a recarsi dal dentista che più lo soddisfa da tutti i punti di vista (in pratica quello che riesce a risolvere i problemi), sia che egli operi in un grande centro o che riceva in una struttura più modesta.
Mi dà però fastidio che nella competizione per conservare o allargare quella che gli esperti del marketing considerano una “quota di mercato,” e che altri invece considerano “pazienti”, si dia una immagine completamente errata di quella che è una categoria che quotidianamente si impegna per dare a ciò che fa la qualità degna di questo nome.
Certo non sempre ci si riesce, è vero. Ma il fatto che vi siano decine e decine di professionisti che scrivono il proprio pensiero, confrontandosi costruttivamente su questo portale o in altre forme di dibattito, e che vi siano persone attente alla propria salute, che leggono e si informano, mi dà la prova che stiamo andando nella direzione giusta.
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