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Terapia funzionale del clik temporo-mandibolare

Coronoplastica su denti eseguita con TENS per individuare ed eliminare contatti deflettivi.

by Dott. Andrea Gizdulich 21-06-2008 6877 visualizzazioni
Le più recenti conoscenze di fisiopatologia neuromuscolare hanno mostrato che le artropatie temporo-mandibolari sono l’espressione di un quadro di disordine più generalizzato che investe l’intero apparato stomatognatico e può coinvolgere anche altri apparati. L’alterazione più comunemente riscontrata è la patologia intracapsulare che clinicamente esordisce con una piccola vibrazione o rumore, netto, più facilmente apprezzabile in fase di apertura orale ma presente anche in chiusura che è definito, con un termine onomatopeico “clic”. La genesi di tali incoordinazioni disco-condilari è da ritrovarsi nell’anomalo combaciamento dentale che innesca e sostiene la patologica postura mandibolare costringendo il sistema muscolo-articolare nel migliore equilibrio possibile. La perdita di questo precario equilibrio in sede articolare e dunque la comparsa della patologia conclamata, avverrà per l’esaurimento delle capacità di adattamento personali e di conseguenza per il cedimento delle strutture di sostegno. È infatti ricorrente che l’occlusione dentale patologica si realizzi in retrusione mandibolare forzata con scivolamento indietro del condilo e conseguente stiramento del muscolo pterigoideo esterno e delle strutture intra ed extracapsulari. Tuttavia sotto il profilo prognostico è di estrema importanza il tempo di intercettamento della problematica articolare che gioca un ruolo dominante nell’evoluzione del danno anatomico molto spesso privo di dolore e quindi sottovalutato. Sul piano teorico qualunque alterazione dell’occlusione dentale può portare ad una degenerazione morfo-funzionale delle articolazioni temporo-mandibolari; pur tuttavia questa particolare espressione clinica si riscontra comunemente in pazienti con importanti perdite di dimensione verticale. Ciò nonostante esistono casi, rari, in cui è possibile verificare una dislocazione mandibolare di modesto grado, senza perdita di dimensione verticale, ma sufficiente a generare il disturbo articolare. Allo scopo è stata esaminata una donna di 69 anni di età che lamenta un leggero rumore all’articolazione temporo-mandibolare sinistra. All’anamnesi si riscontra inoltre la presenza di un dolore riferito all’articolazione stessa con irradiazione all’orecchio omolaterale. La sintomatologia risulta essere di recentissima insorgenza, ossia quasi concomitante con la realizzazione di una ricostruzione protesica fissa a carico del secondo premolare superiore sinistro completata poche settimane prima, ad opera di un collega odontoiatra. La palpazione delle regioni articolari rileva la presenza di un clic in apertura a carico dell’articolazione sinistra con una modesta dolenzia dei tessuti retrodiscali esaminati in massima apertura. Nessuna dolorabilità muscolare è stata rilevata a carico dei muscoli masticatori e cervicali. È stata condotta una scansione computerizzata dei movimenti mandibolari, per verificare e misurare, senza interferenze da parte dell’operatore, la presenza di alterazioni dei percorsi abituali attribuibili ad ostacoli meccanici nel movimento dei capi articolari. Tale studio è stato arricchito dalla simultanea analisi in velocità del movimento di apertura massimo della bocca e successiva chiusura. Il presupposto formulato è quello di analizzare con sufficiente precisione eventuali dislocazioni mandibolari, deviazioni o deflessioni durante i normali movimenti quasi sempre associati ad inevitabili rallentamenti: il clic articolare deve essere considerato un vero e proprio ostacolo anatomico che si realizza al momento della ricattura del disco articolare dislocato. I tracciati così registrati hanno messo in evidenza una apertura massima di 50.9 mm che si compie con una leggera irregolarità sul piano frontale nelle fasi intermedie di apertura e chiusura. Il diagramma di velocità invece ha permesso con chiarezza di identificare una velocità media in apertura di 267.6 mm/s ed in chiusura di 260.0 mm/s con punte oltre i 400 mm/s. A meno di 20 mm dall’apertura massima è inoltre possibile evidenziare un rallentamento brusco e di breve durata a cui segue una ripresa di velocità che si azzera nel momento in cui la mandibola esaurisce la fase di apertura e si prepara alla successiva chiusura. Tale rallentamento si ripresenta in modo quasi speculare negli ultimi millimetri del percorso di chiusura, in prossimità del contatto dentale che arresta il movimento. È stata poi applicata una stimolazione con TENS preauricolare a bassa frequenza per 45 minuti con lo scopo di rilassare la muscolatura stomatognatica e cervicale ed identificare la traiettoria neuromuscolare che dalla fisiologica posizione di riposo si dovrebbe percorrere per raggiungere il corretto contatto dentale. Si è proceduto dunque ad un nuovo esame kinesiografico per visualizzare la traiettoria neuromuscolare di occlusione calcolata seguendo il percorso disegnato dal movimento mandibolare che si realizza con la contrazione isotonica evocata dalla stimolazione elettrica (TENS). Tale metodica si rende necessaria in primo luogo per misurare quale sia l’occlusione abituale del paziente rispetto a quella ideale che dovrebbe permettere l’arresto della salita mandibolare lungo la stessa traiettoria ad una distanza di 1.5-2.5 mm (spazio libero fisiologico) dalla posizione di riposo mandibolare. Nel caso preso in esame lo spazio libero è risultato essere di 1.4 mm ma con una posizione retrusa rispetto a quella fisiologica di 0.5 mm sul piano sagittale ed allineata su quello frontale. La presenza di uno spazio libero fisiologico e il concomitante leggero slittamento indietro in massima intercuspidazione ci hanno indotto a ritenere che l’unico intervento necessario fosse quello di sottrarre dalle superfici dentali quei contatti che impediscono il raggiungimento della posizione di miocentrica. Questa manovra è stata rigorosamente effettuata valutando non i contatti abituali ma quelli automatici indotti dalla stimolazione TENS adeguatamente aumentata di intensità. La costante necessità a non interferire con la paziente ci ha fatto preferire l’uso di cere articolari adesive piuttosto che normali cartine copiative. In questo modo sono stati individuati quei contatti sui versanti cuspidali abitualmente evitati perché giudicati dannosi dal sistema propriocettivo della paziente. Una volta segnati con una matita demografica sono stati ridotti mediante coronoplastica in modo da rispettare l’altezza della cuspide e la profondità della fossa ma facilitandone l’ingresso e l’uscita. Si è quindi proceduto ad un nuovo esame kinesiografico condotto nella stessa giornata che ha confermato il corretto rispetto della dimensione verticale precedentemente misurata ed una sostanziale coincidenza tra la traiettoria neuromuscolare e quella abituale percorsa autonomamente dalla paziente. La paziente è stata poi sottoposta a controllo ad una settimana e ad 1 mese circa dall’intervento di correzione e monitorata a distanza per un periodo di 6 mesi nel corso dei quali sono stati ripetuti il diagramma individuale di Posselt ed il test di velocità. La paziente ha mostrato segni clinici di miglioramento in corso della prima ed unica giornata di coronoplastica dentale ed ha riferito già al primo controllo la scomparsa della sintomatologia dolorosa con notevole riduzione del rumore articolare che è poi del tutto scomparso a distanza di 1 mese circa. I tracciati condotti in ultima visita mostrano una migliore capacità di apertura orale sia in senso qualitativo (riduzione delle irregolarità sui piani frontale e sagittale) che in senso quantitativo (aumento della massima apertura orale). Il test di velocità mostra inoltre come tali movimenti avvengono senza più mostrare importanti rallentamenti sia nei percorsi di chiusura che di apertura. Tutti i parametri presi in esame sono risultati decisamente più favorevoli dei rispettivi registrati in prima visita e la paziente ha confermato il sostanziale beneficio della correzione delle superfici dentali riprendendo il normale svolgimento della propria attività prima compromesso da un dolore non trafittivo ma persistente. Questo aspetto descrive in modo inequivocabile la patogenesi dell’incoordinazione disco condilare: alla sempre presente patologica postura mandibolare si deve collegare il quadro disfunzionale del sistema neuromuscolare con coinvolgimento del muscolo pterigoideo esterno in entrambi i capi. La condizione di spasmo muscolare associato all’inevitabile stiramento delle stesse fibre per la retroposizione condilare e la necessità di rimodellare le superfici articolari per garantire il funzionamento dell’articolazione sono il substrato in cui confluiscono tutte le noxae patogene che alterano il combaciamento dentale. Se questi presupposti sono sempre presenti nella patologia disco-condilare non possono però essere considerati sufficienti poiché, come ben racconta la paziente si può convivere in pieno benessere con tali presupposti fino a quando questi tessuti sono in grado di resistere agli stress. Un trauma diretto mandibolare, uno sforzo a mantenere una apertura orale protratta (estrazione dente del giudizio), una leggera ulteriore destabilizzazione occlusale o anche nessun fenomeno apparente possono un giorno portare all’incapacità a sopportare ulteriormente lo stress e dunque a determinare la sintomatologia conclamata che non potrà essere considerata altro se non l’esordio di un problema che ha messo le sue radici nel passato prossimo o remoto. È comunque privo di dubbio che la patologia articolare rappresenti solamente un lato di un disordine che investe tutto l’apparato stomatognatico e non solo. Diversamente da quanto si riteneva in passato, le articolazioni non possono essere considerate dominanti nella funzione masticatoria quanto piuttosto vittime incolpevoli quando il complesso sistema ligamentoso intrinseco ed estrinseco subisce danni talvolta irreparabili.

Scritto da Dott. Andrea Gizdulich
Firenze (FI)

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